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Auguri Blog!

2017-06-09_il_nostro_secondo_compleanno

Proprio due anni fa, davo inizio al blog per raccontare quel che mi passava per la mente, le esperienze e le “avventure” in terra egittica. Non immaginavo allora che, dopo poco più di un anno, molte cose sarebbero cambiate. Forse, avrei potuto (e dovuto) scrivere molto di più. Di certo, ho ancora tanto da scrivere. E questo, nonostante l’Egitto non sia più la mia quotidianità ormai da mesi.

Molto spesso in questo lungo periodo senza post ho pensato di scrivere qualcosa: dopo i vari fatti di cronaca alterati e “storpiati” dai nostri cari media; in occasione di qualche incontro particolare; oppure per via dei ricordi che costantemente riaffiorano qua e là inaspettatamente. Spesso, di notte, ho mentalmente scritto quel che avrei voluto, ma poi ho lasciato arrivare l’alba e i giorni successivi senza trasformare i miei pensieri in parole digitate sulla tastiera.

A volte, mi ha frenato l’idea che non potessero interessare più i miei scritti “a posteriori”, essendo io ora a una latitudine diversa. Altre volte, mi ha bloccato quel lavoro emotivo che inevitabilmente è associato al processo del ricordare e che può essere faticoso da affrontare. Altre volte ancora, solo la pessima involontaria abitudine di procastinare.

Poi, però, capita di leggere commenti nuovi su un vecchio post, di rendersi conto che, anche se non si scrive, il rimuginare emotivo conscio o inconscio è costante; di avere in testa una lista di cose che si vorrebbero raccontare… E soprattutto di non sopportare la procastinazione, anche se in qualche modo se ne è allo stesso tempo autori e vittime.

Probabilmente, le prossime narrazioni non saranno declinate al presente e andranno a ripescare in ordine sparso nella memoria. Non per questo, però,  saranno meno sincere e sentite. Anzi, potrò romanzarle un po’ e donare loro i toni più accentuati che ogni cosa assume “col senno di poi”, ma sarò sempre fedele al mio sentire e alle esperienze fatte.

E così, riparto da qui. Facendo gli auguri al blog per il suo secondo anniversario con la speranza e la voglia di riempirlo di altre storie, pezzi di vita, ricordi e tutto quel che mi balenerà per la mente. Mente che, ormai italica da dieci mesi, sa perfettamente di essere ancora molto egittica inside!

Un’ultima cosa, ma senza presunzione: grazie a chi mi legge e a chi mi dice “Perchè non scrivi?”.

 

Non solo buongiorno

Ieri mattina, nell’aiuola vicino all’ufficio, ho trovato, nascosto tra foglie di vario genere, qualche rametto di foll, il profumatissimo gelsomino egiziano che amo tanto. Non ho resistito e li ho raccolti per portarli con me a rallegrare la mia scrivania.

Con i miei fiori in mano, mentre salivo in ufficio, mi sono venuti in mente i saluti egiziani.

As-Salam-aleikum è forse il più famoso dei saluti arabi e letteralmente significa “la pace sia su di voi”. La risposta che di solito è data è: Aleikum as-Salam, ovvero “e su di voi sia la pace”. Esiste anche una versione più lunga e complicata da pronunciare che vuol dire “su di voi siano la pace e la misericordia di Allah e le sue benedizioni”.

Questo saluto, però, non è di tutti gli arabi, ma dei musulmani. E la sua sfumatura religiosa è – o dovrebbe essere – forte. Anche se un po’ si perde nella quotidianità e nell’uso comune.

Anche nel saluto di commiato mas-salama che noi intendiamo, più o meno, come arrivederci è intrinseca la parola pace.

E mi fa strano pensare come da questi saluti così positivi abbia avuto origine una parola che nel vocabolario italiano ha certamente una valenza negativa come “salamelecco”, per indicare un saluto esagerato, che mira a compiacere il prossimo. Nell’incontro tra civiltà mediterranee diverse, l’etimologia di pace si è persa. I commercianti arabi erano soliti accogliere quelli europei con il saluto As-salam aleikum, seguito da un sorriso, dall’offerta di un tea alla menta e da una magistrale contrattazione per ottenere il miglior prezzo. E da quell’atteggiamento, che spesso ha anche portato i mercanti europei a qualche fregatura, è nata l’idea negativa della parola.

In arabo egittico, esistono anche modi di salutare senza una componente religiosa che si usano nelle diverse ore del giorno, proprio come da noi. Quello che mi colpisce, però, è che riescono a essere molto più poetici e carichi di significato dei nostri semplici buongiorno e buonasera. Forse, anche troppo.

Fino a mezzogiorno, si dice sabah al-kher che letteralmente significa “mattina di bene” e che per noi vale come buongiorno. E se noi rispondiamo con la stessa parola al saluto, ecco che qui ci sono molte variabili.

Posso rispondere sabah al-foll, ovvero “mattina di gelsomino”. Ecco spiegato perché ieri, con i fiori in mano mi sono venuti in mente i saluti.

E ancora posso dire sabah an-nur “mattina di luce”, sabah al-assel “mattina di miele”; e infine sabah al-eshta “mattina di panna” (Eshta è tipo una crema di latte che viene usata anche per fare i dolci). Forse, ce ne sono altri che ora non mi ricordo o che non ho mai sentito usare, ma mi pare che questi siano quelli principali.

Anche la sera ha le sue varianti masah al-kher e masah al-foll le più usate o comunque quelle che sento più spesso.

Per augurare la buonanotte, si può dire semplicemente leyla saida “notte felice”. Oppure il più complicato da pronunciare tsbah 3la kher che alla lettera significa “che ti risvegli bene (in buona salute)”.

I nostri saluti informali come “ciao” o “salve” non hanno corrispettivi precisi in egittico e possono essere sostituiti da ahlan o marhaba che hanno una valenza di benvenuto.

Effetto bla bla bla

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Hurghada si è svegliata con il cielo azzurro turchino e il sole che colorava il mare d’argento. Nell’aria, i pochissimi residui di sabbia della tempesta di ieri si sono mescolati a una profonda amarezza.

“Attacco terroristico in un resort di Hurghada” è la frase che rimbalza dalla TV alla radio, dai titoli dei giornali ai post sui social.

Ieri sera, mentre il velo di sabbia continuava ad avvolgere la città e la poca gente che era in giro, io ero in un ristorante per una piacevole cena con le amiche. All’improvviso, è cominciata a serpeggiare la voce di “problemi” all’hotel Bellavista. In un primo momento, sì è pensato a uno scherzo di cattivo gusto di qualche mitomane che approfitta della tensione generale per creare il panico. E la cosa non è stata presa molto sul serio. Anzi, io e le mie amiche abbiamo cercato di buttarla sul ridere.

In un batter d’occhio, la voce si è fatta più insistente e ha assunto mille volti.

Allarme bomba al Bellavista, diceva qualcuno. Uomini armati arrivati dal mare, diceva qualcun altro.

Ci è venuto naturale aprire Facebook e cercare qualche informazione. In realtà, non si è trovato molto di più che un mare di versioni diverse e poco attendibili oltre che tentativi di smentita da parte di chi temeva un’ulteriore ripercussione sulla già grave situazione del turismo a Hurghada e in tutto il paese.

La cosa più difficile, quando accade qualcosa qui, è riuscire ad avere notizie certe sull’accaduto. Con giri di telefonate, ho cercato di trovare qualche informazione veritiera. Le versioni hanno però cominciato a essere ancora più variegate: terroristi arrivati dal mare con bandiere dell’Isis che si sono fatti strada fino alla reception; otto morti e non si sa quanti feriti, uomini armati di pistole e cintura esplosiva; tentativo di prendere i turisti in ostaggio e molto altro ancora. Mancava solo di leggere o sentir dire che erano arrivati i pirati seguiti dalle astronavi del Primo Ordine di Star Wars!

Un susseguirsi di ipotesi e di voci che non hanno chiarito nulla, ma ci hanno spinto a preoccuparci in modo più serio.

Alcuni amici egiziani ci hanno consigliato di andare a casa il prima possibile, riportando alla luce quel senso di attesa incerta e paura sottintesa che ben conosciamo dai tempi della rivoluzione.

Cercando di non lasciarmi prendere dal panico ingiustificato, sono andata con un’amica a comprare ciò che mi serviva al supermercato e poi sono tornata a casa. Non appena la certezza che fosse successo davvero qualcosa si è fatta più concreta, ho avvisato subito la mia famiglia che stavo bene, per evitare che si allarmasse, guardando la TV.

In effetti, non c’è voluto molto perché la confusa notizia dell’accaduto arrivasse anche in Italia e ho così cominciato a essere tempestata di messaggi di amici e conoscenti preoccupati. Ormai non dovrebbe più stupirmi la velocità del diffondersi delle notizie ancor prima della verifica del loro fondamento, invece ne resto sempre allibita. Mi sono chiesta cosa stessero dicendo i media visto che qui, a poche centinaia di metri, non si riusciva ancora a capire cosa fosse realmente successo. La preoccupazione e il panico che trapelavano man mano nei messaggi ricevuti mi hanno subito fatto capire cosa si stesse dicendo in giro.

E, pur io stessa dubitando che potesse davvero essere un attacco terroristico, non riuscivo a capacitarmi della corsa al sensazionalismo a tutti i costi.

Si è arrivati subito alla conclusione del colpo terroristico a danno dei turisti, ancor prima di verificare in loco, di ascoltare le testimonianze di chi era presente e delle autorità locali, di sapere se ci fossero vittime o feriti gravi.

Fonti egiziane hanno poi cominciato a smentire che si trattasse di terroristi e a sostenere che fossero semplicemente due delinquenti che avevano tentato una rapina.

Se fosse successo in una qualsiasi città italiana, forse qualcuno dei media avrebbe considerato la possibilità di un semplice episodio di criminalità locale. In Egitto, però, no… Può e deve essere, a tutti i costi, un attacco terroristico.

Il più sciocco della storia, mi verrebbe da dire, visto i risultati: tre feriti lievi, uno dei due delinquenti uccisi dalla polizia e l’altro ferito e arrestato.

Ora come ora, cambia poco quale sia la verità. Il danno è fatto. E non è stato causato da quei due individui che con o senza il supporto dell’Isis hanno fatto quel che hanno fatto.

Il danno più grave a un paese che da 5 anni non riesce a trovare un briciolo di pace e di equilibrio è stato fatto dai titoli allarmisti e sensazionalisti di giornali e telegiornali.

Ormai, anche se fosse matematicamente dimostrato che l’Isis era solo uno spauracchio dietro il quale di due sciocchi e inesperti assaltatori si nascondevano per “darsi un tono”, l’effetto devastante di tutto il bla bla bla mediatico è in atto. Gente spaventata che mette in forse le prossime vacanze, Farnesina che torna a parlare di sconsiglio o divieto di viaggio, personale di hotel, ristoranti e negozi vari che si chiede il perché di tutto questo.

E il sole scende su una città un po’ triste che s’interroga sul suo futuro e spera che il suo meraviglioso mare possa essere ancora la meta dei turisti stranieri.

La formula IBM

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La sigla IBM in terra egittica è assai famosa, ma non è intesa come quella che ha a che fare con l’informatica. O almeno, non solo. In realtà, le lettere sono le iniziali delle tre parole arabe Inshallah (se Dio vuole), bukra (domani) e malesh (non fa niente).

Inshallah è un vocabolo che racchiude significati profondi nella religione musulmana ed è al centro della filosofia e dell’essenza dell’Islam, che ha alla sua base la sottomissione a Dio. Bisogna stare attenti, però, a non considerare questo affidarsi a Dio come un abbandono passivo e rinunciatario, perché in teoria non è quello che dovrebbe essere. Senza addentarsi in complicate spiegazioni e nel massimo rispetto della religione islamica, devo dire però che ormai la parola Inshallah è entrata nell’uso quotidiano e, a volte, perde l’intensità che originariamente dovrebbe portare con sé.

Qualsiasi cosa che si progetta o si pianifica è “Inshallah”, dal vedersi il giorno dopo, all’andare in un determinato posto, all’avere un documento pronto, eccetera. Certo, fatalisticamente, nessuno è sicuro del futuro prossimo o meno ma, alcune volte, è un po’ snervante sentirsi tirare in ballo il volere di Dio per ogni più piccola cosa. Soprattutto perché, spesso, anche se così non dovrebbe essere, suona un po’ come un togliersi dalla responsabilità personale.

Bukra significa semplicemente domani. E spesso segue a qualcosa che Inshallah sarebbe dovuto accadere, ma non è successo. Chiami l’idraulico e ti da’ un appuntamento per il pomeriggio alle cinque. Arriva l’orario, passa il quarto d’ora accademico di ritardo egittico (che il più delle volte è almeno mezzora), arrivano anche magari le ore successive, ma l’idraulico non compare né tantomeno ti avvisa per telefono. Se lo richiami, ricordandogli che lo stavi aspettando per un’ora stabilita, ti dice che verrà domani. A volte, ti da’ giustificazioni di vario genere, tra il serio e il faceto, spesso poco plausibili. Altre volte, non si spreca nemmeno a dare spiegazioni e afferma solo che verrà domani. E questo non vale solo per l’idraulico, ma per una serie infinita di personaggi nei più vari settori: falegname, avvocato, elettricista, meccanico, tecnico della TV, amico con cui avevi un appuntamento e via dicendo. Un altro esempio? E’ finita la bombola del gas (qui, in molte case c’è ancora quella!). Chiedi al bawab di portartene una nuova. Difficile che ne abbia una subito disponibile e quindi ti dice che la porterà bukra. Domandi: sicuro? E la risposta è: Inshallah! Di solito il giorno seguente, ti tocca mangiare pane e formaggio o qualsiasi altra cosa che non ha bisogno di cottura, perché della bombola neanche l’ombra. E il bawab ti guarda sorridente come se nulla fosse.

Vietato alterarsi per l’inconveniente, seppure abbia comportato una perdita di tempo e un aumento notevole di bile. Se anche ci s’innervosisce e ci si lamenta, non si otterrà in cambio molto di più che un bel malesh, che è una via di mezzo tra “scusa” e “non fa niente”. Ed ecco qui, quindi, l’acronimo IBM! Quotidianamente presente, comunque e ovunque.

Nonostante i tanti anni d’Egitto e gli esercizi di pazienza, non sono molto brava a gestire l’onnipresente formula IBM. Spesso, anzi, il malesh finale mi irrita più degli altri due vocaboli. Anche perché è probabile che poi tutta la trafila cominci da capo: prendi un nuovo appuntamento, Inshallah accadrà, è rimandato forse a domani e poi alla fine sarà un nuovo malesh!